Pos.4 Prot. N. 4914 - 222.09.11 Palermo, 18/02/2010

Oggetto: Sentenza giudice di pace sfavorevole all'Amministrazione - Impugnazione - Rinuncia previo accordo tra le parti - Quesito.


Assessorato regionale
del turismo, dello sport e dello spettacolo
Dipartimento regionale
del turismo, dello sport e dello spettacolo
Servizio XI - Agenzie di viaggio - Professioni turistiche
(rif. nota prot. n. 1395 del 24.12.09)
P A L E R M O




1. Codesta Amministrazione ha chiesto l'avviso dello Scrivente in ordine alla configurabilità di un accordo formale con la parte privata in un giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione proposto, ex art. 18 della Legge n. 689/81, dinanzi al Giudice di Pace di xxxxxxxx e conclusosi con la condanna dell'Amministrazione regionale al pagamento delle spese di lite nella misura di euro 200,00.
In particolare l'accordo in questione consentirebbe all'Amministrazione di non pagare le spese processuali a fronte della rinuncia della stessa alla proposizione dell'appello avverso la sentenza sfavorevole.
Codesto Assessorato è dell'avviso di addivenire all'accordo ritenendo che, essendo la questione giuridica di dubbia interpretazione, l'eventuale proposizione dell'appello sarebbe giustificata non tanto dalla sua fondatezza nel merito quanto dalla volontà di giungere ad una diversa pronuncia in ordine alle spese. Conseguentemente chiede l'avviso di quest'Ufficio circa la liceità di una procedura mediante la quale l'Amministrazione possa conseguire il risultato prospettato tramite un accordo (esterno al giudizio) con la parte privata vincitrice, che rinunzierebbe formalmente a chiedere il legittimo pagamento delle spese processuali a fronte della contestuale analoga rinunzia formale della parte pubblica soccombente all'esercizio del diritto d'impugnazione.


2. Ai fini della soluzione del quesito posto occorre preliminarmente richiamare la vicenda giudiziaria definita con la sentenza in cui l'Amministrazione risulta soccombente.
La fattispecie trae origine dall'ordinanza ingiunzione n. 301 del 16.3.2009 con cui l'Assessorato turismo, comunicazioni e trasporti - Dipartimento turismo sport e spettacolo irrogava la sanzione amministrativa pecuniaria pari ad euro 3000,00 nei confronti della Sig.ra yyyyyyyy, guida turistica di nazionalità tedesca, per aver violato l'art.11, comma 2, lett. a) della l.r. 3 maggio 2004, n. 8, in quanto - come accertato dagli agenti di P.M. di xxxxxxxxx con verbale n. 359 del 21.09.08 - esercitava l'attività di guida turistica all'interno del Duomo di xxxxxxxxxx in mancanza della relativa abilitazione o iscrizione all'albo regionale.
La predetta ordinanza veniva opposta, in data 14.05.09, con ricorso al giudice di Pace di xxxxxxxxxx che, con sentenza dei 16-27 settembre 2009, accogliendo il ricorso, annullava la suindicata ordinanza ingiunzione e condannava l'Assessorato regionale al pagamento delle spese di lite, liquidate in complessivi euro 200,00. Dagli atti risulta che l'Amministrazione regionale si è costituita in giudizio senza il patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, bensì secondo la previsione dell'art. 23, comma 4, L. n. 689/1981, che consente all'autorità che ha emesso l'ordinanza-ingiunzione di stare personalmente nel relativo giudizio di opposizione, avvalendosi anche di propri funzionari appositamente delegati.
Dalla motivazione della sentenza emerge che, già dall'ambito di applicazione della normativa regionale in forza della quale è stata irrogata la sanzione (art. 8 della l.r. 8/04), sono esclusi i cittadini degli Stati membri dell'Unione europea diversi dall'Italia, che esercitano la professione di guida turistica in regime di libera prestazione di servizi e ciò in ossequio al combinato disposto degli artt. 49 e 50 del Trattato istitutivo della Comunità Europea (artt. 56 e 57, nella versione in vigore dal 1° dicembre 2009, secondo la numerazione modificata dal Trattato di Lisbona).
Il giudice adito condivide, sul punto, la giurisprudenza richiamata da parte ricorrente (C.d.G. CE 26.2.89 C-180/89 e Cass., sez I, n.11751 del 18.5.2006), secondo la quale "le guide turistiche appartenenti ad un paese membro dell'Unione Europea diverso dall'Italia, che accompagnano un gruppo di turisti del medesimo stato in un tour chiuso e limitato nel tempo, possono esercitare l'attività di guide turistica anche in assenza della prescritta autorizzazione; la mancata applicazione del principio comunitario implica la disapplicazione della normativa nazionale" (cfr. pagg. 3 e 4 della sentenza del Giudice di pace).
Le argomentazioni richiamate hanno condotto l'organo giudicante ad accogliere il ricorso annullando, conseguentemente, l'ordinanza ingiunzione.
La decisione adottata non sembra possa essere contestata nel merito, costituendo ormai insegnamento assolutamente consolidato il principio secondo cui, nel contrasto fra diritto interno e diritto comunitario, la prevalenza spetta a quest'ultimo (anche se la norma interna confliggente venga emanata in epoca successiva), con la conseguenza che l'applicazione del diritto comunitario avviene in via diretta in luogo di quello interno da disapplicare e che tale disapplicazione fa carico non solo al giudice, ma anche agli organi della P.A. nello svolgimento della loro attività amministrativa, anche d'ufficio, indipendentemente da sollecitazioni o richieste di parte (cfr., tra le tante, Corte Cost., 13.7.07, n. 284; Corte di Giustizia CE, 18.7.2007, n. 119/05; Cass. Civ., sez V, 12.01.07, n. 526; Commiss. Trib. Reg. Umbria sez. III, 28.05.2009, n. 21).
Per di più, nella fattispecie, l'art. 8 dell'invocata legge regionale, in assoluto "ossequio agli artt. 49 e 50 del Trattato", dispone esso stesso la non applicazione delle disposizioni contenute nella l.r. 4/08 - che disciplina l'attività di guida turistica - ai cittadini di Stati membri dell'Unione europea, diversi dall'Italia, che esercitano, in regime di libera prestazione di servizi, le professioni turistiche.
In ordine, poi, all'interesse dell'Amministrazione ad esercitare il diritto d'impugnazione limitatamente alla pronuncia sulle spese si osserva quanto segue.
L'interesse all'impugnazione - quale aspetto del generale interesse ad agire, che l'art. 100 c.p.c. richiede per la proposizione della domanda giudiziale (o per resistere alla stessa) - è costituito dalla soccombenza e può essere limitato anche soltanto alla pronuncia sulle spese processuali. Ma allaluce delle suesposte considerazioni di merito non può non tenersi conto del principio generalissimo secondo il quale la fondatezza della pretesa azionata rileva anche ai fini del regolamento delle spese processuali (cfr., Cass. Civ., sez. lavoro, 11.10.2007, n. 21323). E la disciplina delle stesse, quale desumibile in via generale dagli artt. 91 e 92 c.p.c., trova applicazione anche nel procedimento disciplinato dalla legge 24 novembre 1981, n.689, sia nel caso - espressamente menzionato dall'art. 23 della legge medesima - di soccombenza dell'opponente, sia nel caso inverso di soccombenza della parte nei cui confronti l'opposizione sia stata proposta (Cass. Civ., sez. I, 27.8.2003, n. 12543 e sez II, 5.06.2006, n. 13210). Invero, nei giudizi di opposizione ad ordinanza-ingiunzione, ai sensi della citata legge n. 689/1981, l'Amministrazione che ha emesso il provvedimento impugnato assume qualità di parte e, conseguentemente, soggiace alla responsabilità per le spese processuali secondo le regole dettate dagli artt. 91 e ss. c.p.c.; pertanto, nel regolamento delle spese processuali, il giudice deve seguire il criterio della soccombenza.
La condanna della parte soccombente alle spese processuali non ha, infatti, natura sanzionatoria, ma è conseguenza legale della soccombenza (Cass. Civ., sez. III, 28.03.2001, n. 4485 e sez. III, 18.10.2001, n. 12758).
L'art. 91 c.p.c., nel collegare l'onere delle spese alla soccombenza, impedisce che le spese stesse siano poste a carico della parte totalmente vittoriosa.
Conseguentemente si configura la violazione del precetto di cui all'art. 91 c.p.c. - che impone di condannare la parte soccombente al pagamento totale delle spese giudiziali, salvi i casi di compensazione totale o parziale delle stesse, come consentito dal successivo art. 92 c.p.c. - ogni qual volta il giudice ponga, anche parzialmente, le spese di lite a carico della parte risultata totalmente vittoriosa (Cass. Civ., sez. III, 4.06.2007, n. 12963).
Alla luce delle superiori considerazioni non sembrano sussistere, nella fattispecie, i presupposti per ottenere - attraverso la pretesa da far valere in sede di giudizio d'impugnazione - un risultato utile e giuridicamente apprezzabile, né avendo riguardo al merito della questione controversa, né con riferimento all'intervenuta statuizione sulle spese (peraltro di modica entità).
L'esclusione, dunque, dell'utilità di impugnare la predetta sentenza, anche unicamente al fine di ottenere una diversa decisione in ordine alla condanna alle spese di lite, consente a codesta Amministrazione di valutare la proposta della stessa parte vincitrice di rinunciare a richiederne il pagamento a fronte di un impegno formale della parte pubblica soccombente a non proporre impugnazione.
Nella fattispecie in esame, la configurabilità, sotto un profilo giuridico, di un accordo formale nel senso prospettato dalla parte privata va accertata con riferimento alla capacità di disporre del diritto a proporre impugnazione e, ai sensi dell'art. 100 c.p.c., il potere d'impugnazione - che ha natura esclusivamente processuale - è connesso alla qualità di parte in senso formale del giudizio, riferibile soltanto a quei soggetti che abbiano assunto la veste di parte nel giudizio di merito conclusosi con la decisione oggetto dell'impugnazione (Cass. Civ., sez III, 14.7.2006, n. 16100).
Poiché la qualità di parte legittimata a disporre del diritto all'impugnazione è rinvenibile anche in capo alla Pubblica Amministrazione che sia stata parte di un giudizio, alla stessa stregua di una parte privata, l'ente dovrà considerare la convenienza economica della transazione in relazione all'incertezza del giudizio, alla natura delle pretese, alla situazione normativa prospettata ed agli orientamenti giurisprudenziali suesposti, sia con riferimento al merito del giudizio di primo grado, che al regolamento delle spese processuali.
Sul punto si osserva che anche gli Enti pubblici sono legittimati a concludere accordi transattivi relativi a contenziosi giudiziali o stragiudiziali.
Al riguardo è opportuno richiamare l'art. 14 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440 (Nuove disposizioni sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato) che, stabilendo la procedura che deve essere seguita per addivenire all'accordo transattivo, riconosce implicitamente la possibilità per le Amministrazioni pubbliche di concludere questo particolare contratto.
I limiti del ricorso alla transazione da parte degli enti pubblici sono quelli propri di ogni soggetto dell'ordinamento giuridico, e cioè la legittimazione soggettiva e la disponibilità dell'oggetto, e quelli specifici di diritto pubblico, e cioè la natura del rapporto tra privati e pubblica amministrazione (cfr., Corte dei Conti, sez. reg. di controllo Lombardia, parere n. 26 dei 16.4- 5.5.2008).
Sotto quest'ultimo profilo va ricordato che, nell'esercizio dei propri poteri pubblicistici, l'attività degli enti territoriali è finalizzata alla cura concreta di interessi pubblici e quindi alla migliore cura dell'interesse intestato all'ente .
Quanto ai termini (soggetto ed oggetto) del contratto di transazione va ricordato che i soggetti debbono essere dotati non solo di capacità giuridica ma debbono avere anche la legittimazione intesa come potere di agire in ordine ai rapporti sui quali incide la transazione. La transazione è valida solo se ha ad oggetto diritti disponibili (art. 1965, co. 2) e, secondo dottrina e giurisprudenza civile, questa circostanza si verifica ogni volta che le parti hanno il potere di estinguere il diritto in forma negoziale, vale a dire, rinunziando ai diritti che derivano da quel rapporto. Sotto questo profilo vengono in rilievo per gli enti pubblici le procedure che prevedono le modalità di formazione ed espressione della volontà amministrativa.
Al riguardo va ricordato che per le amministrazioni centrali è prescritto un iter procedimentale articolato, con parere obbligatorio ma non vincolante dell'Avvocatura dello Stato (art. 13 R.D. 30.10.1933, n. 1611) e del Consiglio di Stato (per importi, tuttavia, eccedenti i 20.000.000 di lire ai sensi dell'art. 14 R.D. 18.11.1923, n. 2440 Nuove disposizioni sull'Amministrazione e sulla contabilità generale dello Stato, come modificato dall'art. 20, D.P.R. 20.4.1994, n. 367).
Com'è noto, in forza della previsione di cui all'art. 1 del D.Lgs. 2 marzo 1948, n. 142, "le funzioni dell'Avvocatura dello Stato nei riguardi delle Amministrazioni statali sono estese all'Amministrazione regionale siciliana". Conseguentemente anche gli atti di transazione in cui è parte l'Amministrazione regionale siciliana devono essere sottoposti al previo parere dell'avvocatura erariale ai sensi del citato art. 13 R.D. n. 1611/1933.
In ossequio alle soprarichiamate previsioni normative codesta Amministrazione, compiuta una valutazione in ordine all'opportunità dell'accordo transattivo proposto dalla parte privata, dovrà acquisire il prodromico parere dell'Avvocatura erariale, tenendo conto, tuttavia, delle spese, che rimarrebbero comunque a carico dell'Amministrazione medesima, quale corrispettivo da corrispondere per l'attività consultiva dell'Avvocatura, a fronte dell'esiguità dell'importo delle spese di lite (200,00 euro), oggetto dell'eventuale accordo transattivo.
Nelle superiori considerazioni è l'avviso dello Scrivente.

* * * *
Si ricorda che in conformità alla Circolare presidenziale 8 settembre 1998, n. 16586/66.98.12, trascorsi 90 giorni dalla data di ricevimento del presente parere senza che codesta Amministrazione ne comunichi la riservatezza, lo stesso potrà essere inserito nella banca dati "FONS".


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